Mario Bava è una di quelle tante, ahinoi, figure dimenticate del cinema italiano. Profondo conoscitore di tutto l'universo della settima arte, ha fatto della creatività e della fantasia gli ingredienti fondamentali della sua attività dietro (ma anche davanti, attorno, dove volete insomma) alla macchina da presa.
A rendere giustizia a questo artista della celluloide, semisconosciuto da noi ma amato negli Stati Uniti, ci hanno pensato Gabriele Acerbo e Roberto Pisoni con "Kill, baby kill!" (Edizioni "Un mondo a parte", 25 euro), oltre trecento appassionate pagine impreziosite da testimonianze inedite, foto di scena, fuori set e locandine cult.
Mario Bava è stato un uomo di cinema totale - racconta Gabriele Acerbo-.Ha fatto l’operatore, il direttore della fotografia, il regista di cult-movie bellissimi girati con due soldi e tanto geniaccio italico. Portò l’horror in Italia, ed ebbe successo persino in America. Con "La ragazza che sapeva troppo" e "Sei donne per l’assassino" ha creato il giallo all’italiana e inventato la figura dell’assassino mascherato e col cappellaccio nero in testa dieci anni prima di Dario Argento. I suoi thriller efferati hanno anticipato film come "Halloween" e "Venerdì 13", il fantascientifico "Terrore nello spazio" è stato scopiazzato 15 anni dopo da "Alien". Era così avanti rispetto ai tempi che "La frusta e il corpo", con Daliah Lavi che godeva perché Christopher Lee la frustava, fu ritirato dalla circolazione: era troppo sadomaso!
Un regista che ha praticamente attraversato tutti i generi. Una duttilità voluta o una necessità?
Bava ha debuttato come regista in un’epoca, gli anni ’60, in cui il cinema italiano si reggeva sui film di genere, la fantascienza, l’avventura, l’horror, il mitologico coi vari Maciste ed Ercole. Forte della sua capacità tecnica e grande esperienza, si è adattato a fare qualsiasi cosa perché considerava se stesso un semplice artigiano. Anche per questo ha accettato, a un certo punto della sua carriera, di fare film che detestava. Li fece per denaro o per necessità. Per giustificare la regia di un film erotico disse che non voleva passare per gay. E quando, per pagare le tasse, girò un giallo con una sensuale Edwige Fenech lo definì “una stronzata”.
Tra i film di Bava c'è anche "Diabolik", che col tempo è diventato un cult ma che quando uscì, nel 1968, fu stroncato senza pietà...
Il critico Tullio Kezich scrisse che "Diabolik" rappresentava il campione del sottosviluppo culturale degli anni ’60. Ai francesi e agli americani il film invece piacque. Capirono prima di noi che "Diabolik" fiutava l’aria del tempo. Era il manifesto italiano della Pop Generation: per i colori sgargianti, il look fumettistico e hi-tech, gli abiti glamour di una supersexy Marisa Mell-Eva Kant. Insomma: Bava è stato l’Andy Warhol de’ noantri.
Il fatto che molti film di Bava, come per molti autori di quella generazione, siano stati rivalutati, evidenzia la miopia della critica di allora o in effetti molte di quelle pellicole erano talmente avanti che possono essere apprezzate solo "a posteriori"?
I critici incensavano i film d’autore, quelli impegnati politicamente e anche la commedia, perché faceva satira sul costume e sulla società. Tutto il cinema di genere invece era considerato di serie B, o addirittura Z. La critica francese, che non aveva i paraocchi ideologici, comprese subito le qualità cinematografiche di Bava. Anzi, finì per sopravvalutarlo. Tanto che lui, che amava ridere di se stesso, alla domanda sul perché i francesi lo ammirassero tanto, rispose: “Perché sono più fessi di noi!”
Nel vostro libro Bava si può considerare una scoperta, una riscoperta o semplicemente avete fatto emergere una figura che già da tempo era un punto di riferimento per gli addetti ai lavori?
Quando Bava morì, nel 1980, i giornali pubblicarono la notizia in poche righe perché tutto lo spazio fu dedicato alla contemporanea scomparsa di Alfred Hitchcock. In Italia, a livello popolare, Bava è uno sconosciuto. Se tutti, anche la famosa casalinga di Voghera, hanno sentito parlare almeno una volta di Fellini, Antonioni,Visconti o, per restare nell’ambito fantastico, di Argento, Bava invece rimane un signor nessuno. All’estero è considerato un regista di culto, un maestro, un autore di serie A da gente come Tarantino e Scorsese. E in America il più bel libro di cinema mai pubblicato è proprio su Mario Bava. "Kill baby kill!" nasce da questa esigenza: far capire che il miglior cinema americano contemporaneo deve molto a Mario.
Tra le testimonianze raccolte nel libro ci sono quelle di Joe Dante, Quentin Tarantino, Tim Burton, John Landis e Roger Corman. In che maniera la "lezione" cinematografica di Bava ha influenzato questi registi?
Bava, esattamente come Tarantino, Burton, Dante e Sam Raimi, è stato un regista visionario. Le sue immagini, proprio come quelle di Fellini, s’infilano nell’inconscio e non lo mollano. Come ci ha detto Tarantino, Bava era tutto colore e emozione. Prendeva il giallo o il rosso e li spiaccicava davanti alla macchina da presa. Ha insegnato a questi cineasti cosa sia la magia del cinema. Lavorando al libro, siamo stati i primi a sorprenderci dell’enorme affetto che queste superstar hanno per il regista italiano.
Nel libro sono raccontati anche tanti aneddoti che delineano la figura del regista. Ce n'è uno in particolare che può essere esemplificativo?
Più che un regista si considerava un esperto di trucchi cinematografici. Era capace di trasformare, come dice nel libro il regista di "Blues Brothers" John Landis, “la merda di pollo in insalata di pollo”. Con pochi mezzi creava effetti sorprendenti. Ritagliando delle fotografie e piazzandole davanti alla macchina da presa, dava l’illusione di avere costruito sul set enormi scenografie. Oppure con la polenta, ben illuminata di rosso, faceva la lava dell’inferno. Ma il massimo dell’ingegnosità se lo guadagnò con "Caltiki": per realizzare un mostro terrificante, una sorta di blob spaventoso che entrava nelle case e divorava la gente, usò la trippa. L’effetto funzionò a meraviglia. Ma la trippa, riscaldata dai potenti riflettori del set, mise in crisi il set. La puzza era insopportabile, e le riprese non potevano durare più di qualche ora. La troupe sveniva.
Nel panorama cinematografico attuale, c'è un personaggio che può essere assimilato, in Italia ma anche all'estero, a Bava?
Il cinema italiano ha visto tanti registi inventivi e di valore come Margheriti, Fulci, Corbucci. Ma nessuno aveva le qualità di Bava. Al giorno di oggi uno come lui non potrebbe esistere all’interno dell’industria cinematografica. I suoi magnifici trucchi artigianali non servono più: puoi creare effetti speciali sorprendenti e mondi fantastici con un clic del computer.
Fonte: Tgcom
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